Maria Enrica
C’è chi ha appeso l’uncino al chiodo, chi è stato spodestato, chi ha cambiato professione e chi invece è rimasto lo stesso di sempre. Che sia per cercare un equilibrio tra nostalgia e presente, o per concludere una storia diventata leggenda, al richiamo di Return to Monkey Island è impossibile scappare.
Per i fan era scontato che Ron Gilbert non si sarebbe fermato con Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge (1991), cercando piuttosto di chiudere le fila del suo progetto con la creazione di una trilogia. Al padre della saga mancava però un collaboratore che seguisse la sua mente creativa senza troppi paletti, limiti, obblighi e dopo oltre trent’anni deve averlo trovato in Devolver Digital. Con la sua ciurma di Terrible Toybox composta in parte da ufficiali storici, l’autore invita sia gli appassionati della prima ora sia i novizi – dei mozzi assicurati – a solcare i sette mari con il loro Nintendo Switch e a tornare a casa con Return to Monkey Island.
Stessa storia, stesso posto, diverso bar
Essendo un’avventura grafica trainata dalla sua storia, è difficile descriverla appieno senza rovinare una sorpresa di qualche tipo a uno o a un altro giocatore. Si sparga però la voce per tutti i moli del circondario che Guybrush Threepwood è approdato a Mêlée Island dopo tanti anni ed è (ancora) alla ricerca del segreto di Monkey Island. Dalla sua ultima visita allo sconclusionato atollo sono cambiate tante cose, ma soprattutto si respira un’aria marcia, malinconica: i graffiti sui muri e le botteghe chiuse o sull’orlo del fallimento testimoniamo una cesura con un passato giudicato almeno in parte colpevole, una trasformazione che sfonda lo schermo facendosi meta narrazione.
La nostalgia diventa una delle cifre stilistiche del gioco non come stratagemma commerciale malizioso, bensì come una comoda melodia che attesti ai suoi ascoltatori più leali quanto tempo sia trascorso. Affiancato dal co-sceneggiatore Dave Grossman, Gilbert ha insomma voluto aprire la passerella della sua nave a nuovi proseliti e insieme dare un senso di familiarità ai suoi filibustieri più fedeli, quasi sempre evitando di sciogliersi nel racconto dei bei vecchi tempi fine a se stesso. Ciò che è iniziato va portato a termine e Guybrush è intenzionato a mettere insieme un equipaggio e a raccattare un mezzo per staccarsi ancora da terra, spalleggiato dalla sua dolce metà Elaine Marley, dall’irrefrenabile Stan, passando per lo scontroso teschio parlante Murray all’enigmatica Voodoo Lady. Alle loro calcagna la storica nemesi LeChuck e un trio di pirati assurti a capi cercheranno di mettergli i bastoni tra le ancore.
Riavvolgere l’ancora
Terrible Toybox si è prefissato un compito arduo: ripescare il discorso lasciato in parte incompiuto trentuno anni fa e proseguirlo in favore di una solida continuità, il tutto senza scadere in una qualche forzatura o gettando dall’oblò l’operato dei colleghi che hanno preso il suo timone negli anni successivi. Ecco che Return to Monkey Island si pone come seguito diretto di Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, pur integrando elementi di The Curse of Monkey Island, di Escape from Monkey Island e persino di Tales of Monkey Island. Il capitolo iniziale comincia da quello stesso parco giochi che aveva lasciato i giocatori con il fiato sospeso e gli fa scoprire una trovata efficace per allacciarsi a ciò che seguiterà con un taglio agrodolce eppure privo d’incoerenze.
Ne è nato un viaggio vivace ed esuberante sospinto dal vento di una scrittura dei dialoghi eccellente che pone l’accento su un’ironia e su una comicità uniche: tra situazioni assurde e interazioni originali abbracciate da una regia e da una gestione dei tempi sopraffina, la firma della fu LucasArts torna a fare scuola dopo trenta anni di assenze giustificate. Il tutto è condito da un ottimo equilibrio tra nostalgia e contemporaneità, con il tema del cambiamento inevitabile che diviene un confronto reale, facendo identificare il protagonista con il giocatore.
Da ciò si evince che solo chi ha vissuto le esperienze originali potrà entrare profondamente in sintonia con l’ultima fatica di Gillbert, tuttavia anche i neofiti sono i benvenuti: dal menù è possibile accedere a un Album dei Ritagli, una sorta di diario di bordo composto da fotografie, disegni e illustrazioni delle precedenti avventure. Con Guybrush come narratore onnisciente esterno, questo rappresenta un compendio sì sbrigativo eppure soddisfacente per coloro che si affacciano alla saga per la prima volta o per chi si è perso qualcosa nel tempo.
Equilibrio a tribordo
Come si potrebbe leggere tra le righe del nome stesso, Return to Monkey Island non mira a sconvolgere i punta e clicca, ma a svecchiare certe dinamiche in favore dei ritmi odierni del videogioco tutto. I movimenti dell’aspirante pirata sono gestiti in maniera diretta con lo stick sinistro della console, mentre con quello destro è possibile scrutare le schermate per analizzare le scene, interagire con i personaggi e raccogliere oggetti attraverso un tasto specifico. Ogni elemento di gameplay è più asciutto e immediato in favore di una maggiore scorrevolezza, ora potendo scorgere tutti i punti a cui avvicinarsi in un’area, ora con la possibilità di saltare parti di dialoghi e di rileggerli in un secondo momento. La versione Nintendo Switch è fruibile sia attraverso i comandi manuali, sia con il touch screen, lasciando una libertà di scelta pratica e vantaggiosa.
Volendo portare la pirateria alle nuove generazioni, il titolo propone due livelli di difficoltà, con il primo che semplifica e accorcia gli enigmi. A meno che questo non rappresenti il proprio svezzamento con le avventure grafiche, consigliamo di puntare sull’opzione classica per una fruizione completa, poiché entrambe includono il Libro degli indizi. Si tratta di uno stratagemma funzionale sempre a disposizione di Guybrush nel suo inventario: consultandolo, Threepwood sarà stuzzicato con dei suggerimenti per sbrogliare eventuali blocchi che si faranno via via più precisi a propria scelta.
A questo si aggiunga la lista degli obiettivi da spuntare di volta in volta nel corso della partita, rendendo impossibile perdersi per i Caraibi senza meta. Tra gli oggetti permanenti della borsa si trova inoltre il Libro dei quiz, una raccolta di carte nascoste per la mappa con una sorta di mini gioco composto da domande e risposte; oltre a essere un ulteriore strizzata d’occhio per i fan, l’utilità di questo intermezzo si esaurisce in breve tempo.
Bilanciando tradizione e innovazione, gli enigmi richiedono ancora di collegare oggetti da consegnare a determinati personaggi, visitare le stesse strade molte volte e soprattutto armarsi di pensiero laterale; differenziandosi con merito rispetto al passato però, i puzzle seguono sempre un filo conduttore, una logica specifica, per quanto stravagante possa apparire, eliminando qualsiasi collegamento senza senso che soffoca anche alcuni esponenti odierni del genere. Che sia per gli aiuti offerti dagli autori, che sia per il game design, il livello di sfida non appare mai punitivo, anzi, alle volte si ha la sensazione di essere presi per mano e guidati in maniera troppo spinta, e pure nel solco dei ricordi sarà possibile lasciare definitivamente l’ancora a terra dopo circa 8 o 9 ore.
Confronto e cambiamento
Terrible Toybox ha dichiarato che il ritorno di Monkey Island non sarebbe stato all’insegna di una sterile nostalgia anche in ambito artistico; esclusa la possibilità di una pixel art, il team ha compiuto una scelta netta, plasmando la sua opera in favore di uno stile fresco, riconoscibile. Il tratto del neo assunto Rex Crowle (Tearaway) sembra essersi formato da Tim Burton, spogliato da quella dimensione inquietante, portando successivamente a una compressione dei modelli dei personaggi in una sorta di 2D simile a fogli di carta che ruotano di novanta gradi su se stessi. Se sulle prime il viso allungato di Guybrush e il volto pentagonale di Elaine possono lasciare spaesati, l’ispirazione cubista mescolata a un’estetica da produzione animata convinceranno molti giocatori in seguito.
L’arcipelago a poco a poco esplorabile offre una gamma variegata di ambientazioni, fra alcune inedite e altre note, che spiccano nella quasi totalità grazie a dei colori molto accesi. Piccola chicca per gli interessati: i modelli degli oggetti presenti nell’inventario sono curati e dettagliati in maniera maniacale. Per la ciurma di Gilbert sono stati arruolati i compositori originali della colonna sonora di The Secret of Monkey Island, dando vita a una serie di musiche allegre e in sintonia con lo spirito del gioco. Un applauso va fatto nei riguardi del doppiaggio (in lingua inglese, con la possibilità di aggiungere i sottotitoli ben localizzati in italiano, soprattutto guardando alla traduzione di giochi di parole e altri termini), con il ritorno magistrale di Dominic Armato nei panni di GuyBrush.
Sono passati trentuno anni dal primo approdo a Mêlée Island e affermare che le cose siano rimaste le medesime significherebbe mentire a se stessi; ne diventerà consapevole Guybrush Threepwood in persona, quando da un lato perseguirà ostinatamente il suo proposito di scovare il tesoro e dall’altro prenderà coscienza del tempo che fugge. Se allora il giocatore ha vissuto le tre faticose prove e lottato per conquistare il cuore di Elaine, non potrà sottrarsi dall’immedesimarsi con il suo pirata caparbio, forse scontrandosi duramente con il passato, abbracciando però l’idea che gli eventi si susseguono e lui può solo continuare a navigare senza rinnegare se stesso.
Return to Monkey Island è questo, affrontare il passato e andare avanti sì nel solco del proprio essere, ma con l’apertura mentale di chi cerca continui mutamenti, a volte sciogliendosi in una nostalgia canaglia, a volte scoprendo troppo il fianco a certe semplificazioni, eppure andando avanti a testa alta. Return to Monkey Island è disponibile per Nintendo Switch tramite il Nintendo eShop dal 19 settembre 2022 al prezzo di 24,99 euro.
Voto: 9.2
Scrittura dei dialoghi e dei personaggi eccellente
Stile grafico fresco e vivace
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