Maria Enrica
Complotti, intrighi politici e ancora mercenari, tradimenti: non è da biasimare chi abbia tentato di sotterrare queste micce di un caos più gargantuesco sotto la lama affilata del tempo. Sopito da almeno un decennio, è giunta l’ora che il dramma strategico venga portato nella pubblica piazza acciocché possano conoscerlo quanti più possibile. Squillino le trombe, Tactics Ogre: Reborn è rinato.
Mentre da un lato la fantasia finale si prende gran parte dei riflettori, dall’altro è innegabile che Square Enix stia riesumando alcune delle sue proprietà intellettuali meno chiacchierate, provenienti da generazioni passate. È successo con Star Ocean: The Divine Force, si ripete attraverso modalità diverse con Tactics Ogre: Reborn. Quella che viene promossa come una sola attualizzazione grafica e tecnica, si rivela invece un’operazione appena più complessa, una piccola e insieme importante rinascita del gioco. Sarebbe bastato infatti riprendere il codice di The Wheel of Fortune (2010, PlayStation Portable) e apportargli qualche modifica; invero, gli autori giapponesi si sono prodigati ad aggiustare e ad apportare varie novità ora di gameplay, ora di usabilità, a favore di un RPG strategico imprescindibile per gli amanti del genere, almeno per chi non ha ancora toccato le terre di Valeria.
Responsabilità, prima che scelte politiche
Molto prima di nomi come Triangle Strategy, il maestro nel combinare geopolitica e strategia era Yasumi Matsuno. Se Final Fantasy Tactics e Vagrant Story sono ascesi a un piedistallo nel genere di appartenenza, lo si deve alla capacità di questo ultimo nel comporre trame intricate in cui si mescolano correnti di pensiero sfumate piuttosto che compartimenti stagni fatti di estremi. E in tale ambito, Tactics Ogre: Let Us Cling Together (1995, SNES) si distinse per un’ulteriore stratificazione, ovvero dei bivi narrativi che in base alle scelte compiute di volta in volta dal giocatore, cambiavano l’evoluzione della storia in maniera significativa, influenzando i destini di alleati e nemici, fino ad alterare il finale del viaggio tutto.
A riprova dell’impostazione politica del racconto, Matsuno fece sì che il pubblico facesse proprie le conseguenze delle loro decisioni, come un capo di Stato è tenuto ad accollarsi. Tre diramazioni in particolare chiamavano e tirano ancora oggi il giocatore da una parte o da un’altra con l’insieme di responsabilità a esse legate e garantendo la possibilità di vivere più partite. Sfavorendo questo fattore – a fronte però di circa cinquanta ore di gioco – e andando forse incontro a una platea più vasta, Square Enix consente ora di tornare sui propri passi e cambiare strada. Wold Tarot, così chiamata la nuova meccanica, sarà disponibile dopo avere superato determinate condizioni, andando in parte a sgretolare la dichiarazione d’intenti dell’ex Quest sull’importanza di una decisione, rendendosi più appetibile ai novizi.
Nel pieno spirito dei JRPG, la riedizione del classico dell’era SNES parla di un gruppo di adolescenti, Denam Pavel (il protagonista), sua sorella Catiua e l’amico d’infanzia Vyce, intenzionati a battersi per porre fine alle oppressioni delle quali è vittima la loro gente da troppi anni. Rispetto al tradizionale canovaccio del viaggio dell’eroe, l’intreccio pone l’alter ego al pari di una pedina in uno scenario bellico che si muove in maniera indipendente.
In questo mare nostrum nel quale i dracones possono nascondersi a ogni angolo, Pavel comprenderà di essere immerso in una scala di grigi dalla quale emergeranno degli imprevisti, con il talento di Matsuno che raggiunge uno dei suoi picchi massimi. Peccato che neanche questa seconda edizione di Tactics Ogre abbia beneficiato di una localizzazione in italiano e la lingua inglese presente potrebbe rappresentare uno scoglio troppo grande per molti, dato l’uso di un lessico poco ordinario.
Microgestione strategica
Se in superficie Tactics Ogre: Reborn appare lo stesso di ventisette anni fa, è nella microgestione di tanti elementi che si riscontrano le novità più riuscite e marcate. Sulla classica griglia isometrica, sarà possibile dare un occhio al terreno di scontro, all’equipaggiamento degli avversari e selezionare di battaglia in battaglia i guerrieri ritenuti più meritevoli. Salvare cinque set distinti di squadre e controllare la statistica di velocità dei combattenti sono altri due punti a favore di una maggiore complessità del fattore strategico; un tasto apposito per dimezzare il tempo dell’azione asciuga inoltre il rischio di qualche lungaggine.
La modifica più importante riguarda il sistema di crescita del party, oggi completamente riformulato: in passato erano le classi ad aumentare di livello – vanificando il tempo speso nel momento in cui un cambio tra una e un’altra riportava un personaggio a quello iniziale – mentre ora sono i singoli protagonisti a ricevere esperienza. A vincere sono così la sperimentazione, una gamma di abilità inedita per ogni job e la libertà di usare i pezzi di equipaggiamento senza vincoli.
Piuttosto che un selettore della difficoltà, Square Enix ha optato per il Party Level, ovvero un tetto massimo che si alza avanzando nell’avventura, eliminando il sempiterno grinding. Ciò vale tanto per l’utente, quanto per i nemici, anche se l’asticella sembra favorire i secondi. Pur togliendo dall’equazione una dinamica quasi connaturata ai JRPG, mantenendo la sfida sempre equilibrata, il level cap innesca un circolo parimenti lungo di allenamenti alternati a scontri (a proposito, una nuova opzione consente di riavvolgere il nastro di dieci turni e ripensare il proprio piano di azione).
Sul campo si muove una pedina alla volta e le armi da utilizzare dipendono dalla classe di appartenenza. Capiterà di vedere comparire degli oggetti nell’area percorribile: sono le inedite buff card, capaci di donare bonus o malus permanenti per tutto il combattimento, tanto intriganti sulla carta, quanto passibili di rompere il bilanciamento del gameplay, specie se appaiono in maggioranza sul lato avversario.
Una nota a sostegno della nebbia
Dai comandi di battaglia ai menù, passando per le interfacce quando si bersaglia un nemico, tanti accorgimenti concorrono a evolvere la leggibilità del gioco, rendendolo l’accompagnamento prediletto per la portabilità di Nintendo Switch. Unica pecca in tale senso risiede in una certa rigidità dei movimenti affidati alla croce direzionale e del controllo della telecamera allo stick.
Tutta concentrata sul fronte puramente ludico, la rinascita di Tactics Ogre non beneficia delle stesse rifiniture in termini grafici. La casa giapponese si è limitata ad alzare la risoluzione degli ambienti, già annaspante nel remake datato 2010. Il risultato è una pixel art opaca, sporca e al contempo incapace di nascondere il peso degli anni; giocato in modalità portatile, lo schermo di dimensioni ridotte riesce solo in parte a mitigare tale situazione. A onor del vero, la direzione artistica mantiene una buona dose di fascino, sostenuta da un accompagnamento sonoro d’eccezione firmato dall’accoppiata Hitoshi Sakimoto (Final Fantasy XII, 13 Sentinels) e Masaharu Iwata (Final Fantasy XII) e che gode di nuova vita grazie a un’ottima rimasterizzazione.
Tactics Ogre: Reborn non risente quasi in toto il peso dei suoi circa trenta anni. Oggi come nel 1995, si dimostra uno dei migliori GDR strategici in circolazione, forte di una trama complessa (forse troppo per chi non mastica l’inglese) in stato di grazia e di una miscela di accorgimenti che ne migliorano la scorrevolezza e il gameplay in generale. Non tutti s’incastrano in maniera ottimale e il fronte grafico avrebbe meritato maggiore controllo, tuttavia chi non ha mai vissuto questo viaggio non può lasciarselo scappare, specie se su Nintendo Switch.
Tactics Ogre: Reborn è disponibile sul Nintendo eShop dal giorno 11 novembre 2022 a 49,99 euro.
Voto: 8.7
Una trama complessa dalle implicazioni e dai risvolti tutt’altro che scontati
Ottimo da giocare in modalità portatile su Nintendo Switch
Un ricco insieme di novità e modifiche nella micro gestione strategica e di gameplay…
Pixel art e risoluzione avrebbero meritato maggiori accorgimenti
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