Maria Enrica
C’è chi racconterà di un drago fluttuante la cui presenza rammenta la ciclicità del mondo e la conseguente vacuità di una vittoria, ma anche la possibilità di una sconfitta e della speranza; c’è chi parlerà di libertà, di quelle che sembrano un miraggio per quanto sia pura anche rispetto al diretto passato; e c’è chi ne farà tesoro per delle costruzioni improbabili o delle soluzioni solo apparentemente impensabili. Perché è tutto vero, perché se questo sono delle storie, diventeranno le nostre leggende, quelle di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.
In circa sei anni, Nintendo EPD ha messo un punto alla propria poesia virtuale in esclusiva per Nintendo Switch iniziata nel 2017, ma non con l’intento di apporle la parola fine, al contrario: con la piena consapevolezza che loro siano le firme primigenie e il coraggio dietro quest’avventura, ma dei milioni di Link sparsi nel mondo sia l’interpretazione libera e la condivisione di quel salto, che tutto è tranne che facile e codardo.
Hyrule, o sovrana
A rendere già indimenticabile The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom non è tanto la sceneggiatura, sì più studiata di Breath of the Wild, più ambiziosa eppure rea di qualche ridondanza e stortura (anche in rapporto alla mitologia della saga), né le sue parti prese singolarmente; è il loro insieme, è Hyrule in sé. Capiterà per esempio di passare dei lunghi minuti cavalcando o camminando lungo delle distese brulle, o ancora cercando di vincere una parete rocciosa pur con un solo cerchio di resistenza in un silenzio meditativo, ma non assoluto.
Ecco, questa è Hyrule, che sottovoce lascia il tempo di prepararsi a una scoperta oltre quella roccia, quella collina: il regno è costellato di caverne più o meno ampie, di rovine, d’insediamenti nemici, di geoglifi, di villaggi vogliosi di ricominciare dopo un tragico attacco, pur consapevoli della rinnovata minaccia che li attende, li circonda, li fissa, dal castello.
Certo, la ricerca dei semi Korogu avrebbe potuto essere sostituita da un’attività secondaria inedita e in generale degli elementi ricorrono più volte, tuttavia nulla spezza la poesia magica che regge saldamente il mondo di Zelda. Chiedendosi come avrebbe potuto reagire Hyrule al sopraggiungere di un antagonista oltre Ganon, Nintendo l’ha trasformata in relazione al nuovo pericolo, coniugando a essa il tetro sottosuolo e le lucenti isole sopra le nuvole. La cruda mappa è quindi pressoché la stessa del 2017, ma parlare di pigrizia per un riutilizzo di qualche asset sarebbe semplicemente falso.
Ora è la geografia stessa di Hyrule a esplicare la trinità della saga: il sottosuolo è una distesa carica di ansia, le cui tenebre come la pece vengono ripulite da sporadici fari o da dei semi luminosi (o in modo ancora più agevole nel corso dell’avventura), affascinante nella sua oscurità e richiesta di essere mappato a poco a poco, quanto poco incisivo risulti sul lungo periodo. Il cielo è punteggiato da un manipolo di isole fluttuanti, suggestive nella loro semplicità e infine la terra a fare da raccordo, suggellando potere, coraggio e saggezza.
Una Leggenda, infinite storie diverse
Dovrebbe rendersi possibile passare dai titoli di coda di Breath of the Wild al principio di Tears of the Kingdom senza soluzioni di continuità, tale è diretto il collegamento tra i due momenti del primo e del secondo. Chi non ha provato quello del 2017, non coglierà il quadro completo di questo capitolo per Nintendo Switch, se non che un racconto semplice, più preponderante e scorrevole permetterà agli indecisi di seguirlo senza timore alcuno di perdersi. Già la sola sequenza introduttiva suggerisce egregiamente la potenza epica della narrazione, la quale rallenta come in uno spettacolo orchestrale, esplodendo poi nelle battute finali.
Dopotutto gli archetipi e gli stilemi della favola sono noti, insiti nella dicotomia tra il bene e il male, tra un guerriero, di nuovo, sconfitto, che necessita di ripartire da zero e una principessa ben lungi dall’essere una semplice meta dell’eroe. Il miasma nato dalla calamità stringe in una morsa il regale edificio e al contempo erutta in più e più punti sparsi il suo sanguigno veleno. Pur con qualche tremolante timore del futuro, Pruna e gli altri comprimari seguono Link in maniera energica e a livello letterale, nella misura in cui alcuni giungono in prima linea a battersi per la pace.
Si tratta quest’ultima di una novità apprezzata, che lega ancora più saldamente gameplay e compagine narrativa su un canovaccio già usato in Breath of the Wild, con quattro popoli da salvare e l’utilizzo dei flashback – stavolta dosati in modo più chiaro e comprensibile – con delle scene animate alternate ad altre in tempo reale. Tears of the Kingdom non è un ritorno alle origini della saga, bensì il coraggio creativo di un seguito diretto che fa apparire il suo predecessore come una sorta di prologo, un guardare da uno spioncino verso la liberazione totale di Hyrule.
Libertà studiata
Se si vuole è anche una libertà spiazzante, soverchiante quella insita nel design elegante del gioco che espande la sua anima avventurosa conquistando il territorio del sandbox. È qui che torna la Nintendo difference con fare arrogante e fanciullesco, determinato e fermo: l’usura delle armi, già funzionale sei anni fa, persiste, ma può essere mitigata dal Compositor, il potere incentrato sulle fusioni tra armi, archi, scudi e frecce e quasi ogni punto con cui interagire sulla scena.
A vantaggio dei combattimenti, quest’abilità ricalibra la curva della difficoltà in base alle proprie preferenze: ogni nemico può essere fatale a Link in potenza, eppure guardandosi attorno o preparandosi all’occorrenza sarà possibile avere sempre cara la pelle. Ecco che un debole bastone si trasforma in uno strumento indispensabile per raccogliere delle pietre preziose, che una banale freccia di legno può esplodere sul suo bersaglio con un fiore specifico, che uno scudo può farsi un muro impenetrabile; il limite è l’immaginazione del giocatore.
Fantasia che non è allo stato brado – l’occhio vigile degli autori è gentile, silenzioso, onnipresente – piuttosto esaltata dall’Ultramano (un toccante omaggio a Gunpei Yokoi), dal quale sprigionare la capacità di raccogliere, spostare e collegare più e più oggetti per un ponte improvvisato o molto altro. Reverto permette all’eroe di riavvolgere l’ultimo istante del movimento di un dato oggetto, mentre Ascensus è una sorta di scherzo da sviluppatori assurto a meccanica tanto semplice quanto geniale e funzionante, con la possibilità di oltrepassare pareti o soffitti opportunamente segnati. A chiudere il radiante dei talenti degli Zonau è lo Schematrix, una specie di archivio per i progetti più disparati creati in precedenza.
Si può testare, provare a fare di tutto o quasi eppure ciò non elimina la purezza dell’esplorazione, l’importanza di fattori come punti vita e resistenza; sono fattori che alla poesia di Breath of the Wild aggiungono scelte, sperimentazioni. La sorpresa è di quelle dirompenti, che varranno almeno un capitolo nei prossimi manuali di game design, anche se un piccolo assaggio didattico si trova nei sacrari, che ora virano, a volte troppo, in direzione di corposi tutorial piuttosto che di enigmi strutturati come tali.
Un prodigio di tecnica artistica
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è un prodigio di tecnica, a memoria il migliore disponibile a oggi per la console ibrida. Figurarsi la possibilità di esplorare il sottosuolo, la terra e il cielo senza caricamenti e di mescolare i poteri liberi dalla paura che il software stesso ne risenta, su Nintendo Switch, fa parte della magia poetica orchestrata da Hidemaro Fujibayashi e soci. Il frame rate risente appena di una tale vastità e giusto nei momenti più concitati, con tanti elementi a schermo da processare.
Qualcosa di più facile lettura si sarebbe potuto sperare nella mappatura dei comandi e nei menù rapidi (si pensi alla lista orizzontale degli oggetti da pescare con la pressione di un tasto), ma la mole di meccaniche da incastrare l’una con l’altra – insieme alla possibilità di accedere ai consumabili più utilizzati in modo comodo – costituiscono una giustificazione importante. Un deterrente supportato da una direzione artistica che, in piena continuità con Breath of the Wild, continua a donare scorci sublimi, adesso pure attorniati dalle nuvole o sporcati dalle tenebre.
Potere, quello delle musiche ora epiche ora emozionanti e commoventi di Hajime Wakai a sentenziare chi con merito può fare scuola da oggi fino al prossimo passo generazionale; saggezza, quella di chi studia ogni aspetto della propria opera con rispetto verso il pubblico; e coraggio, quello di chi dopo oltre trenta anni non si arrocca sul suo eremo, prende per mano i milioni di Link sparsi nel mondo e li invita a giocare, perché cambiando si può restare bambini, si può essere indimenticabili.
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è disponibile dal 12 maggio 2023 sul Nintendo eShop al prezzo di 69,99 euro.
Voto: 10
Le novità appartenenti al sandbox in salsa Nintendo sono da manuale di game design
Ogni aspetto di Breath of the Wild è stato migliorato, inglobandolo come una sorta di sua demo
Una libertà intelligente e insieme pressoché infinita negli approcci al gameplay
Una colonna sonora emozionante
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