Redazione
Tra i numerosi racconti antichi che si tramandano di bocca in bocca attraverso le generazioni, ne spicca uno davvero particolare, che ancora oggi viene raccontato dai saggi di Fucsiapoli alle giovani coppiette. Si tratta di un aneddoto così remoto rispetto al tempo presente che, come tutte le storie che si rispettino, nessuno sa esattamente dove finisca la leggenda e dove cominci la realtà.
Quel che ci resta, a distanza di secoli, è una testimonianza dell’amore più puro e della sua capacità di resistere alle avversità della vita. Volete ascoltarla? Bene: mettetevi comodi e, magari, preparatevi anche una bella tazza di cioccolata calda. Gustatela fumante, mi raccomando…
Secoli fa, quando il mondo era ancora segnato dalle contese feudali, nella cittadina di Fucsiapoli viveva un giovane contadino di nome Kuno. Il ragazzo era al servizio della potente famiglia dei Taira, che governava quelle terre.
Kuno, orfano di braccianti, era stato adottato dal clan e affidato alla servitù, affinché lo crescesse e facesse di lui un buon lavoratore.
Il nome dei Taira, all’epoca, incuteva timore e rispetto in tutto il feudo di Fucsiapoli, perché da generazioni il clan deteneva il controllo della città e dei territori circostanti. Il clan era conosciuto anche al di fuori del regno per una ragione in particolare: la bellezza di Shu.
Lei era l’unica figlia che il principe era riuscito ad avere prima che la sua sposa si ammalasse, colpita da una malattia misteriosa che la uccise pochi mesi dopo la nascita della bambina. Si diceva che la madre, quale gesto di amore supremo, avesse voluto infondere nella piccola principessa tutto il proprio splendore, tanto che nessuno poteva sinceramente affermare di conoscere una creatura più aggraziata ed elegante di Shu. Il “fiore dell’inverno” – così suo padre e il popolo intero erano soliti chiamare la principessa, nata il 14 di febbraio – era conteso dai nobili dell’intera regione del Kanto: schiere di ambasciatori carichi di doni per il padre si accalcavano intorno al palazzo, fin da quando la principessa era ancora una bambina.
Shu, che era una ragazzina vivace e non poteva spiegarsi le ragioni di tanto baccano, trascorreva il suo tempo lontano da quelle cerimonie e, possibilmente, dalle noiose lezioni di calligrafia che le sue insegnanti volevano infliggerle ogni giorno. Non appena poteva, fuggiva in giardino insieme al suo amato Psyduck per raggiungere una delle poche persone a cui voleva davvero bene: il giovane contadino Kuno, che aveva più o meno la sua stessa età e con il quale aveva stretto amicizia sin dal primo momento in cui si erano conosciuti.
Kuno e il suo Ivysaur erano così affezionati a Shu e Psyduck che, nel corso degli anni, la loro vicinanza divenne sempre più forte. A un certo punto, entrambi si resero conto che la voglia crescente di stare insieme, le lotte di Pokémon all’ombra degli alberi e le fughe concordate per andare a raccogliere conchiglie in riva al mare – insomma, tutto ciò che conferiva al loro tempo il colore azzurro del cielo e il sapore di una mela appena colta – significavano solo una cosa. Amore.
I giovani rinsaldavano il loro legame giorno dopo giorno: ogni volta che le era possibile, Shu si sottraeva alle imbarazzanti visite dei suoi pretendenti (cioè di tutti quelli che aspiravano a stringere alleanze politiche con il feudo di Fucsiapoli) e ai suoi studi per correre da Kuno, il quale la aspettava insieme a Ivysaur sotto le ampie fronde di un salice. Avrebbero tanto voluto restare in quel modo per sempre, avvolti nell’abbraccio rassicurante del maestoso albero e dalla fragranza che la pianta di Ivysaur spandeva nell’aria durante i pomeriggi di sole.
Man mano che il tempo passava, tuttavia, si faceva strada in loro la consapevolezza che quegli incontri clandestini sarebbero prima o poi stati scoperti: più volte era successo che i contadini riferissero al capo dei braccianti le ingiustificate assenze di Kuno, che lui motivava con la necessità di attendere ad altri lavori. Allo stesso modo, il padre di Shu era scontento della condotta della ragazza, perché, quando non si trovava in compagnia del suo amato, dimostrava ben poca partecipazione alle lezioni che le sue insegnanti le impartivano. “Se non studierai, non sarai mai una brava principessa. Mio bel fiore dell’inverno, il giorno delle tue nozze è vicino: quando i Sunflora sbocceranno e i Wingull transiteranno di nuovo nel nostro cielo, il tempo sarà propizio” le ripeteva, facendole sobbalzare il cuore.
Molte erano le notti in cui la giovane Shu si struggeva all’idea di andare in sposa a chiunque non fosse Kuno, l’unico che volesse al proprio fianco. Il suo dolore si faceva sempre più acuto, rendendosi conto che suo padre non avrebbe mai approvato il matrimonio con un orfano villico. La ragazza si avvicinava al suo ventesimo compleanno e, di lì a poco, sarebbe arrivato il mese di marzo, portando con sé l’inizio della bella stagione che sempre aveva amato e che ora gli appariva odiosissima, sapendo che il suo destino era segnato.
Proprio il 14 febbraio, mentre Kuno era intento a effettuare gli ultimi lavori stagionali di potatura degli alberi, vide arrivare in tutta fretta il piccolo Psyduck di Shu. Portava qualcosa nel becco. Il Pokémon depositò tra le sue mani uno stralcio di pergamena e fuggì via, senza neppure dare al ragazzo il tempo di capire cosa stesse succedendo. Srotolò il foglio e, ringraziando tra sé Shu che gli aveva insegnato a leggere, scoprì il messaggio della fanciulla:
Il nostro segreto è stato rivelato. Qualcuno deve avermi vista venire da te, perché mio padre mi ha proibito, da questo momento in poi, di uscire dalla mia stanza. Tra poco verranno a prenderti per portarti al suo cospetto. Credo sia arrivato il momento, per noi, di fuggire. Non appena scenderà la notte e tutti dormiranno, correrò via di qui e raggiungerò la riva del mare. Affrettati! Sarai lì ad aspettarmi? Tua per sempre
Il vento trasportava il canto sommesso di un Wingull, il primo della stagione. Kuno e Ivysaur attesero, col cuore ben annodato in gola, che il sole tramontasse. Il ragazzo aveva abbandonato i suoi strumenti di lavoro ed era fuggito a gambe levate, rifugiandosi in una locanda fuori città. Dalla sua stanza, pagata per la notte con i pochi soldi che Shu gli aveva fatto recapitare insieme alla lettera, poteva osservare il profilo di Fucsiapoli e dei suoi tetti viola, i negozianti indaffarati a chiudere bottega e, più in là, oltre la linea di costa, le barche dei pescatori che tentavano di catturare Pokémon acquatici.
Il tramonto cominciava a infuocare l’oceano e Kuno, con un velo di tristezza negli occhi e il cuore che gli martellava il petto, attendeva impaziente il momento in cui avrebbe potuto raggiungere Shu sulla spiaggia. Quando l’ultimo sole scese all’orizzonte, il ragazzo, avvolto in un mantello scuro, ridiscese il colle su cui sorgeva la modesta locanda e fece ritorno in città. Gli uomini di Taira perlustravano vicoli e strade, sperando di trovare il criminale nascosto forse in qualche contenitore di frutta, o nelle cisterne dell’acqua. Acquattandosi dietro le case e strisciando in silenzio da un muro all’altro, da una recinzione all’altra, Kuno riuscì a raggiungere un punto della spiaggia abbastanza lontano dalla città senza essere visto. Si sedette sulla sabbia fredda, che sotto il pallore della luna aveva preso il colore della neve, e attese insieme al suo fedele compagno Ivysaur l’arrivo di Shu.
Immerso com’era nella contemplazione delle onde, dopo essersi portato a sé il suo Pokémon e averlo avvolto nel mantello per non fargli sentire freddo, avvertì qualcosa toccargli la spalla. Kuno ebbe un sussulto: la sua amata era dietro di lui, e gli sorrideva allegra. “Ce l’ho fatta” disse ansimando. Le loro mani, guidate da un istinto invisibile, si intrecciarono. “Psy!” Anche il piccolo Psyduck, trafelato quanto lei, era felice.
Gli uomini di Taira, però, erano stati alle costole della ragazza per tutto il tempo e l’avevano seguita fin lì. I ragazzi si accorsero che una decina di samurai, scortati da altrettanti Crobat, si stava avvicinando: pur nella bruma notturna che ora era scesa e si faceva sempre più fitta, i giovani innamorati riuscivano a distinguere lo scintillio sinistro delle armature che sferragliavano.
“Dove andremo adesso?”, gridò disperata Shu; ma il suo Psyduck la stava tirando per il kimono, indicando il mare: una gigantesca sagoma si profilava all’orizzonte man mano che si avvicinava alla riva. Un canto melodioso riverberò tutto intorno, e venne intercettato distintamente anche dagli uomini di Taira, che di colpo si fermarono e rivolsero lo sguardo all’oceano.
Quando la misteriosa sagoma emerse dalla nebbia, Kuno e Shu riconobbero un magnifico Lapras dalla livrea brillante, di un intenso colore ametista. Si era avvicinato alla riva, e con sguardo benevolo invitò i giovani e i loro Pokémon a prendere posto sul suo dorso. I quattro, ancora estasiati da quell’inattesa apparizione, si affrettarono a salire mentre i soldati li raggiungevano, dopo essersi ripresi a stento dallo stupore. Lapras cantò di nuovo, come se qualcuno ascoltasse al di là dell’orizzonte: il suo richiamo potente si dissolse nel vento.
Dopo qualche secondo voltò le spalle alla città e si avviò, traghettando i giovani, verso le Isole Spumarine.
Non sapevano perché, ma Kuno e Shu erano pervasi da una strana felicità. Navigando sul dorso di Lapras, sentirono che il loro sogno d’amore diventava sempre più realtà via via che Fucsiapoli spariva in lontananza, inghiottita dalla nebbia. Anche Psyduck e Ivysaur sorridevano, con la testa del Pokémon papero dolcemente reclinata sulla pianta dell’amico. Lapras li fece scendere sulla riva delle Isole Spumarine, poi si allontanò fino a scomparire. Kuno osservava il cielo, ora di nuovo sgombro, ed era felice: “Potremmo vivere qui” disse in un sussurro, quasi non riuscisse a credere alle proprie parole, rivolgendosi a Shu. “Siamo liberi. Potremmo fare di queste Isole la nostra nuova casa. Io credo che…”
La sua voce si strozzò di colpo. Una freccia lo aveva trafitto al petto. La punta aguzza e imperlata di sangue scintillava alla luce della luna mentre Kuno si accasciava al suolo. Shu, disperata, emise un grido, e così fecero Ivysaur e Psyduck volgendosi di nuovo verso il mare: gli uomini di Taira li avevano raggiunti con un’imbarcazione di fortuna. Uno dei samurai dalle retrovie aveva scoccato la freccia fatale ed esclamato: “L’affronto di questo miserabile è stato ripagato. Vostra Maestà, vi chiediamo di seguirci, vostro padre è in pensiero per voi”. Ma Shu era in preda alla disperazione, e non faceva altro che stringere, incredula, il corpo senza vita di Kuno, mentre Ivysaur si lanciava contro i soldati emettendo violente strida.
All’improvviso, il cielo si rischiarò: strie di aurora boreale apparvero tra le stelle e un alone di luce si aprì al di sopra di Shu. La ragazza si volse, con gli occhi stravolti, e vide la livrea azzurra di un grande uccello che splendeva nella notte. Era uno spettacolo magnifico e sinistro al tempo stesso. Le sue ali si allargarono, e dalle piume del colore del cielo piovvero piccole scintille che andarono a posarsi sulla coppia di innamorati.
La principessa non piangeva più, ricoperta com’era di luce dorata: un sorriso sereno si era aperto sul suo volto, mentre accarezzava i capelli di Kuno e posava delicatamente una mano sulla ferita mortale del giovane. Psyduck e Ivysaur, abbagliati anch’essi e pieni di meraviglia, si erano stretti intorno ai due, lasciandosi ricoprire di scintille come se fossero un manto stellato. I quattro, così raccolti, furono ben presto ricoperti dalla luce, e pian piano i loro corpi si dissolsero, assorbiti dalla terra, sotto gli occhi increduli dei samurai di Taira: ai loro piedi erano sbocciati quattro fiori bianchissimi, intrecciati in un solo stelo.
I fiori dell’inverno.
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