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Le pubblicità dei videogiochi: quando tutto era concesso!

Vi era un tempo in cui le pubblicità dei videogiochi non avevano limiti e osare era il modo migliore per conquistare il pubblico. Scopriamole!

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Al giorno d’oggi siamo abituati a vedere imponenti pubblicità sui videogiochi che ci mostrano i nuovi titoli in uscita mostrando quanto siano spettacolari, spesso usando ritmi e sequenze travolgenti che servono a catturare l’attenzione del novello videogiocatore, figura non più considerata come uno “sfigato” ma destinatario di un nuovo tipo di intrattenimento.

pubblicità videogiochi

Ma com’era la comunicazione quando questo era un settore più di nicchia? Come facevano le case produttrici a fare colpo su chi magari nemmeno sapeva cosa fosse un videogioco? Con la pubblicità cartacea, ovviamente: le riviste e i poster, soprattutto negli anni ‘90 e inizio 2000, puntavano molto sulla volontà di rappresentare non più un nerd sfigato, ma un trasgressivo che cercava il suo posto nel mondo a suon di slogan che al giorno d’oggi farebbero piovere piogge di critiche.

Non vi era un limite e bene o male tutto era concesso, l’importante era che la comunicazione fosse il più diretta e folle possibile, un tipo di comunicazione e pubblicità figlia dei suoi tempi che in molti ancora ricordano e, probabilmente, rimpiangono perché sapeva conquistarti in un modo tutto suo, facendoti immaginare tante nuove e folli avventure che avresti potuto vivere tranquillamente sul divano di casa tua.

Il fascino della carta stampata

Si diceva all’inizio che il mezzo preferito per la diffusione delle pubblicità videoludiche ai ragazzi della fine degli anni ‘80 e inizi ‘90, tolti alcuni rari casi come la pubblicità televisiva del SEGA Mega Drive di Gerry Calà col suo indimenticabile “Ocio però! Sono Giochi Preziosi!“, erano le riviste reperibili in edicola e nei negozi.

Mezzo principale per la divulgazione dei sogni erano Topolino oppure i cataloghi di giocattoli di Mattel e GiG che, soprattutto nel periodo natalizio, facevano scoprire ai più giovani i prodotti videoludici del tempo che erano perlopiù di Nintendo e SEGA, era d’oro in cui le due aziende si facevano la guerra a colpi di slogan taglienti. Specchio del tempo è proprio questa faida che vide SEGA uscirsene con uno degli slogan più iconici mai creati e che andava a “bullizzare” la rivale di Kyoto: “Genesis does what Nintendon’t“.

Al giorno d’oggi Nintendo sguinzaglierebbe una schiera di avvocati famelici e con gli occhi iniettati di sangue per punire nel peggiore dei modi SEGA, ma ai tempi venne presa una decisione diversa, ossia rispondere per le rime. Partì così una campagna pubblicitaria da ambo le parti che esaltava o criticava le caratteristiche e i giochi di Genesis e Super Nintendo con le due case che intenzionalmente fomentavano i giocatori lanciandosi frecciatine e pugnali avvelenati che portarono a una delle più divertenti faide del periodo.

Le pubblicità dei videogiochi puntavano proprio a colpire il pubblico e fargli scegliere quale sarebbe stata la sua nicchia di appartenenza per gli anni a venire. Ancora non ce ne si rendeva conto, ma il tipo di comunicazione stava cambiando e con essa anche il target di riferimento che ben presto sarebbe passata dai ragazzini sbarbatelli ai giovani adulti irriverenti e trasgressivi.

Parola d’ordine: eccesso!

I giocatori e il mondo che li circondava stava radicalmente cambiando, con gli anni ‘90 appena iniziati ci stavamo immergendo in un’epoca che faceva di tutto per gridarci in faccia la necessità di modernizzarci e distinguerci dalla massa. Cambiava l’abbigliamento, gli accessori e soprattutto la tecnologia che, grazie alle sue pubblicità martellanti, puntava a farci capire che o possedevi un determinato prodotto oppure il resto della tua comitiva faceva bene a darti dello sfigato.

In un periodo in cui internet non esisteva, l’unico metodo per scoprire cosa era cool e cosa no era sfogliare le riviste di settore che, nel caso delle pubblicità sui videogiochi, erano zeppe di articoli e pagine che consigliavano cosa comprare.

Giocare ai videogiochi era un passatempo da sfigati? Sbagliato, perché le pubblicità ci insegnavano che eravamo dei ribelli che non avevano paura di nulla, nemmeno dell’essere messi in castigo perché potevamo rimanere chiusi in camera a giocare col nostro amico Game Boy.

Il mondo fuori ci era ostile perché non vestivamo alla moda o non ci appassionavamo di calcio e altri sport, ma quelle piccole cartucce e quei controller plasticosi ci permettevano, a patto di avere abbastanza pile stilo, di immergerci in avventure dove eravamo i migliori in tutti. Eravamo fighi!

Anche i nostri amati Pokémon hanno avuto le loro pubblicità sopra le righe, basti pensare a uno dei primi spot di Pokémon Rosso e Blu dove un autista rinchiudeva i mostriciattoli all’interno di un autobus per poi portarlo in una discarica e schiacciarlo con una pressa per darci l’idea che 151 creature e un mondo vivo e speciale potevano stare tranquillamente nel palmo della nostra mano.

Bisognava essere irriverenti e tentarle tutte per convincere i giocatori e, perché no, anche la stampa, che quel determinato gioco doveva essere tenuto d’occhio perché probabilmente si sarebbe trattato di qualcosa di epocale. Il pubblico stava cambiando, cresceva e così dovevano fare gli annunci pubblicitari, ormai non più rivolti a ragazzini che prendevano in mano un controller per la prima volta, ma giocatori con un ottimo bagaglio culturale sempre in cerca di nuovi emozioni.

Adolescenza e trasgressione

I pomeriggi passavano veloci mentre eravamo chiusi nelle nostre camere a giocare in compagnia delle nuove console, non più marmocchi che si emozionavano per pochi pixel, ma adolescenti che fantasticavano su quel mare di poligoni che esplodeva a schermo riempiendoci i pensieri con nuove avventure e soprattutto nuovi personaggi più definiti in cui immedesimarci.

I ragazzi sono cresciuti ormai con gli ormoni che si scatenano portandoli a scoprire nuovi interessi, nuovi amori e nuove passioni più intime e personali, creando un mondo in cui forse per il videogioco non c’era più posto. Ma il mercato è un animale sempre in agguato e percepisce questi cambiamenti e cerca nuovi modi per colpire e tenere alto l’interesse verso il mondo videoludico.

Ormai le lotte tra chi aveva il processore più potente o la grafica migliore non attiravano più come in precedenza, quindi bisognava trovare un’alternativa. Così, un giorno, qualche genio del marketing trovò la soluzione giusta. Di cosa parlavano sempre e comunque gli adolescenti a prescindere dal genere e dalle loro passioni personali? Ovviamente esploravano la loro sessualità e quindi le pubblicità dei videogiochi decisero di giocarsi il tutto per tutto e rompere qualsiasi tabù.

Le nuove pubblicità erano ammiccanti e sfruttavano i doppi sensi creando un mondo comunicativo tutto nuovo che stuzzicava la curiosità di chi leggeva le riviste e l’imbarazzo di chi vedeva i videogiochi come solo una distrazione da ragazzini. Era una strategia che già veniva usata sul finire degli anni ’80 ma che, complice la “nicchia” isolata in cui viveva il videogioco, non ebbe lo stesso successo dell’era poligonale.

Ma sapete chi più di tutti continuò a osare con allusioni e doppi sensi? Nintendo, quella famosa perché “fa solo videogiochi per bambini innocenti“, ora si scatenava, più che in passato, sfornando delle pubblicità che al giorno d’oggi nessuno si sognerebbe mai di pubblicare.

Tuttavia queste pubblicità avevano un problema di fondo molto importante: erano sessiste in quanto indirizzate solamente a un pubblico prettamente maschile, perché si pensava che solo i ragazzi passassero del tempo davanti allo schermo “bruciandosi i neuroni” con pad alla mano.

Era un turbinio folle in cui ormai bisognava osare il tutto per tutto senza restrizioni, probabilmente in alcuni casi anche senza buon gusto, ma agli adolescenti questo genere di spot piaceva e faceva ridere, poco importava se qualcuno si sentisse offeso perché questo bisogno di eccedere continuava a non far sentire degli “sfigati” tutti coloro che passavano del tempo davanti a uno schermo.

Questo probabilmente è stato il punto più irriverente, sgarbato e sopra le righe che si sia mai visto in ambito di pubblicità sui videogiochi, con qualche lieve picco che però presagiva già il declino che sarebbe arrivato in seguito.

Il mondo continuava a cambiare, evolvendosi, rendendosi conto che ormai i videogiochi erano di dominio pubblico, con tornei e manifestazioni di livello mondiale e trasmesse anche in diretta streaming. Era finito il tempo del ragazzino isolato dal branco perché ritenuto troppo nerd per partecipare alle uscite in comitiva o troppo impacciato per socializzare e relazionarsi con altri.

Basta insulti, basta ammiccamenti e doppi sensi, adesso bisognava diventare per forza più eleganti e raffinati, complice una diffusione delle pubblicità dei videogiochi che ormai non si basava più sulle riviste cartacee, tristemente in via di rottamazione, ma invadeva il mondo social e le reti televisive come mai prima d’ora.

Paradossalmente nei tempi contemporanei si è ritornati indietro con spot che si concentrano molto sulla forza bruta e l’avveniristica grafica, di breve durata e che in pochi secondi devono convincere l’utente a correre in negozio oppure ad aprire il proprio portafoglio online.

Un mondo nuovo, più tra le righe, ma in alcuni casi più asettico che deve fare i conti con un panorama social e di interconnessioni tra persone molto più ramificato che in passato, in cui un singolo passo falso possa portare a conseguenze drammatiche per le software house.

La necessità di far tutti contenti ha portato alla necessità di studiare a tavolino ogni mossa in modo da non scontentare nessuno ma allo stesso tempo, probabilmente, ci ha privato di quell’irriverenza tipica della gioventù che, per fortuna, continua ancora a vivere nei nostri ricordi, magari quando troviamo qualche vecchia rivista tenuta in scatoloni abbandonati e ci lasciamo andare nel mare dei ricordi.

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